Intervista al prof. Roberto Fedi. «Pellegra Bongiovanni? In alcuni versi supera il Petrarca».

Un commento, quello alla canzone 126 del Canzoniere petrarchesco “Chiare, fresche et dolci acque”

Martina Pazzi

Un giorno fatale per la historia petrarchesca. Dopo il 6 aprile. Un giorno benedetto. Quello della visione disvelata, in terra, di madonna. E, poi, ancora, le acque della Sorgue, le erbe e i fiori toccati dalla veste di Laura, l’aere sacro e sereno, la natura – principale interlocutore del Petrarca –, la Provenza, i luoghi che accolsero – un paesaggio-stato d’animo ante-litteram? – la presenza della donna amata. Un ospite indesiderato, la morte, ed il porto, immagine metaforica del luogo in cui ci si riposerà, dove non v’è pericolo – anche se vi impera ‘la fortuna’, vox media per ‘tempesta’ –, dove attracca ‘la nave’ del corpo umano, una nave con le vele spezzate, priva di albero-maestro. Nel tessuto – textus – poetico di cinque stanze oniriche, fantastiche, suddivise in 13 settenari ed endecasillabi. Un commento, quello alla canzone 126 del Canzoniere petrarchesco – Chiare, fresche et dolci acque –, in cui la puntualità delle osservazioni particolari rallentano la continuità del discorso critico, pur rispettandone l’unità tematica e tonale. La sistematicità. Al di là della dispersività programmatica dei Rerum vulgarium fragmenta.

Un commento, questo, in grado di proporre una rilettura che conquista un posto indistinto nell’alveo dei commenti, altri, al Canzoniere comparsi negli ultimi decenni, innovativi rispetto alla tradizione. Irrobustiti da numerose osservazioni originali, atte a incrementare il bagaglio conoscitivo sulla biblioteca petrarchesca. In occasione della sua ultima lezione di Letteratura Italiana, rivolta agli studenti del Corso di Laurea PRIMI (Promozione dell’Italia e del Made in Italy) dell’Università per Stranieri di Perugia e ai dottorandi dello stesso Ateneo – allievi del Dottorato di Ricerca Innovativo ed Internazionale in Scienze letterarie, librarie, linguistiche e della comunicazione internazionale, coordinato dalla professoressa Giovanna Zaganelli –, il professor Roberto Fedi, Direttore del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università per Stranieri di Perugia e del Centro Internazionale di Studi sul Rinascimento, e Ordinario di Letteratura Italiana – ha insegnato Letteratura Italiana come Visiting Professor nelle più prestigiose Università del mondo, dall’Università della California, Los Angeles (UCLA) all’Università di Toronto, in Canada. Allievo di Lanfranco Caretti, ha rivolto i propri studi, di impostazione critica e filologica, alla ricerca stilistica sul testo, ponendo l’accento sulla storia della critica petrarchesca, sul Canzoniere, e sulla sua fortuna editoriale, divenendo uno dei massimi esperti di Petrarchismo a livello internazionale. Nella messe di pubblicazioni scientifiche, si segnalano saggi critici sulle ‘tre Corone’, Dante, Petrarca e Boccaccio, sulla lirica del Cinquecento e del Rinascimento, ed un’antologia di testi commentati dalle Origini al Cinquecento, Antichi e moderni (Milano, Mursia, 1984, vol. I), editata in collaborazione con Lanfranco Caretti. È condirettore della rivista «Filologia e Critica» di Roma, e vicedirettore della «Bibliografia Generale della Lingua e della Letteratura Italiana», BIGLI. È stato critico letterario del supplemento culturale del quotidiano ‘IlSole24Ore’ di Milano –, ha percorso un itinerario tematico e stilistico su una delle canzoni più celebri dei frammenti di componimenti in volgare di Francesco Petrarca, individuando dei topics suscettibili di una lettura critica. Non rapsodica. Sistematica. Quella, in ultima istanza, proposta nei suoi studi sul Petrarchismo.

In quelli di Quondam, Santagata. Nel suo percorso accademico, di studioso e di docente di Letteratura Italiana all’Università per Stranieri di Perugia e di Visiting Professor nei più prestigiosi Atenei del mondo, un consistente e robusto filone di ricerca è stato incentrato sul Petrarchismo e sulla fortuna editoriale del Canzoniere: per quale motivo ha approfondito questo specifico segmento bibliografico – scelta che l’ha condotta a divenire uno dei principali esperti di storia della critica petrarchesca nel panorama letterario internazionale –?

«A dire il vero, fu un caso. Lanfranco Caretti, di cui sono stata allievo, mi propose un’edizione critica delle Rime di Giovanni Della Casa. Da lì, sono partito. Sviluppando, nel corso degli anni, anche un interesse per il rapporto fra poesia e arti figurative nel Rinascimento. Mi sono inserito in una serie di letture e di riletture che hanno contributo a rinnovare il Canzoniere, ad interpretarlo come sistema, a differenza degli studi rapsodici sui canzonieri cinquecenteschi, e dei Rerum vulgarium fragmenta in particolare. Credo, infatti, che tutti i canzonieri costituiscano dei sistemi. Oggi il Petrarca si legge in modo diverso. Grazie agli studi di Quondam, Santagata, e anche ai miei».

Lo studio costante, nell’alveo di queste ricerche, le ha permesso di approdare a delle riletture originali del Canzoniere, volte a incrementare il bagaglio di conoscenze sulla biblioteca petrarchesca. Al di là della storia evemenenziale, potremmo tratteggiare un ritratto aneddotico del poeta-laureato?

«Nello studiare il Petrarca, a dir la verità, non si incappa in molti aneddoti. Potrei ricordare, però, il caso di una donna, arcade, che gli rispose ‘per le rime’, e, poi, un incidente di percorso. Nel 2014 ho pubblicato, insieme a Tatiana Crivelli, Ordinario di Letteratura Italiana all’Università di Zurigo, e con il contributo della cattedra di Letteratura Italiana dell’Università per Stranieri di Perugia e del Romanisches Seminar dell’Università di Zurigo, le Risposte a nome di Madonna Laura della poetessa palermitana Pellegra Bongiovanni, accolta col nome di Ersilia Gortinia fra gli accademici dell’Arcadia: un’edizione scientifica che è stata presentata all’Università per Stranieri di Perugia, nel marzo dello scorso anno, dal linguista Francesco Bruni.

L’esemplare sul quale è stata condotta l’edizione è datato al 1763, ed è oggi conservato alla Newberry Library di Chicago, dove l’ho scoperto, per caso, a seguito di una ricerca per soggettario. Non disponiamo di manoscritti, ma solo di copie a stampa della prima edizione romana del 1762 e della ristampa milanese del 1763. La copia conservata alla Newberry Library non è l’unica: ci sono altri esemplari, in Italia, che, però, giacciono morti. Reputo quest’opera geniale: Pellegra attualizzò le risposte di Laura. Ne tratteggiò un ritratto borghese. Traspose il testo petrarchesco su un piano ‘borghese’, nel senso settecentesco del termine. Si ha, dunque, un imborghesimento del romanzo a livello stilistico. E ora... L’incidente di percorso, sì. Occorso mentre studiavo la lirica petrarcheggiante del Cinquecento. Nel sonetto numero 5 delle sue Rime – I’ ho già fatto un gozzo in questo stento –, Michelangelo restituisce un’immagine parodica di sé, negativa, com’era prassi a quel tempo, mentre dipingeva la Cappella Sistina: ‘la barba al cielo’, ‘il petto d’arpia’, il ventre che ‘appicca sotto ’l mento’. A un certo punto, al decimo verso, scrive: ‘e fo del cul per contrapeso groppa’. Lessi, commentandolo, questo verso durante una conferenza alla Cattolica di Brescia. Vidi i miei 500 uditori sbigottiti, inorriditi. Solo dopo, seppi che disponevano, per ovvie ragioni, della versione censurata, variata proprio in quel verso, che, quindi, non potevano trovare!».

La penna di Petrarca e quella di Pellegra Bongiovanni, accolta col nome di Ersilia Gortinia fra gli accademici dell’Arcadia, a confronto. Ma anche due ritratti, a confronto. Potremmo tratteggiarne uno altrettanto aneddotico della donna che rispose, dopo secoli di silenzio, al Petrarca ‘per le rime’?

Più che un ritratto aneddotico, potremmo tratteggiarne uno fantastico, perché di questa donna non si sa nulla. La maggior parte dei suoi testi è andata perduta. Anche questa ristampa del 1763 era sconosciuta a tutti. E, d’altronde, anche di questa signora non si sa nulla, se non che fosse nata a Palermo, e che fosse morta a Roma. L’idea davvero geniale, a mio avviso, è che Pellegra Bongiovanni abbia tratteggiato il profilo di una Laura intenta a replicare al poeta-laureato ‘per le rime’, sonetto per sonetto, inserendosi nel novero delle riletture del Petrarca al femminile. Fa di Laura una signora borghese, come fosse settecentesca. Una signora con un marito, e con un amante, ‘dipinto’ come fosse uno stalker. Una signora paziente, sì, ma fino a un certo punto. Un signora che zittisce il suo interlocutore: ‘e tuo malgrado mutolo ti stai’. A mia conoscenza, è la prima volta che una donna presta la propria voce a Laura, rispondendo solo in vita, ovviamente, come se ogni singolo componimento le fosse stato spedito dal Petrarca. Riesce a restituire un’immagine differente di Laura – attualizzata nel Settecento – e del Petrarca stesso. E fa del Canzoniere un romanzo epistolare. Non è un caso: il Settecento è il secolo dei romanzi epistolari: si pensi a Pamela di Richardson, e alla sua parodia, Shamela di Fielding. Ma Pamela, a differenza delle Risposte di Pellegra, è illeggibile. La Bongiovanni attua dei processi di metaforizzazione e di transcategorizzazione – ‘lo spirito lasso’ diviene ‘mai sedur non mi lasso’ –, e, in qualche verso, coi suoi barlumi di genio, supera, a mio avviso, lo stesso Petrarca! Tesse un dialogo alla pari e all’insegna del capovolgimento, istituendo un Canzoniere parallelo. È una notevole poetessa, che merita di entrare nel canone delle scrittrici studiate dal Cinquecento al Settecento. Nel verbale di una seduta dell’Accademia dell’Arcadia si legge che la Bongiovanni avesse recitato dei sonetti così belli che parevano esser stati scritti da un uomo!».

Da ultimo, una questione esegetica: l’angelico ‘seno’ di Laura è, come lei ci insegna, un latinismo. Deriva da sinus, letteralmente ‘pezzo di stoffa ripiegato’, ed è riconducibile all’ambito semantico della ‘gonna leggiadra’, paragonata alla veste degli angeli, con cui la donna amata dal poeta ricopre l’erba e i fiori. Che dire dell’ideale femminile petrarchesco, da questo specifico punto di vista, insieme percettivo ed ideologico?

In Petrarca non c’è più la figura della donna angelicata. Una ‘spia’ del Dolce Stilnovo è, ad esempio, ‘l’albero gentile’, così come ogni occorrenza dell’aggettivo ‘gentile’. Laura è qualcosa di più. Sta diventando una donna vera: si ha, qui, un’ekphrasis di questa donna, che in Dante non c’è. Non è realistica, ma nemmeno inventata. La veste di Laura è quasi corporea, come quella degli angeli. Non credo sia una sineddoche, a differenza che le mani, ad esempio, o i piedi. Credo sia un latinismo: Laura ricopre l’erba e i fiori con il sinus, col pezzo di stoffa ripiegato della sua gonna leggiadra. E, sempre Laura, ‘dolce’ – aggettivo vago cui il Petrarca ricorre, tanto quanto ‘bella’ – sorride, mentre cadono fiori dal cielo, come fa la Venere-Laura dipinta dal Botticelli, in un continuo riverbero dei piani letterario e figurativo. Ma il ritratto di Laura muta nel corso dei secoli. Sono state pubblicate, infatti, numerose parodie, dal serio al faceto: si pensi al Cecco Angiolieri che sputava sentenze su di un ‘giorno maledetto’, quello dell’incontro con Laura, o al Berni, intento ad operare un’ekphrasis femminile, in cui vengono ripresi i tratti somatici, per poi attuare un capovolgimento. Laura, da ineffabile, diventa realistica nella poesia burlesca e bernesca del Cinquecento. Da donna assoluta diviene relativa in tanti imitatori cinquecenteschi. I suoi ‘capei d’oro’ divengono bianchi, crespi stopposi; le labbra sono livide, la pelle, le guance rossastre. Il sonetto 130 di Shakespeare – My mitress’ eyes are nothing like the sun –, straordinario, dal canto suo, propone una enumerazione di occhi che non sono come il sole, di labbra che non sono rosso-corallo, di petto grigio, di capelli paragonati a fili neri, di guance non damascate come le rose, rosse e bianche. E di un fiato non tanto delizioso quanto certe fragranze».